Entrati in Fase 2 di Covid-19 Soldout propone l’intervista al Maestro Vincenzo Sorrentino, pianista, compositore e direttore d’orchestra “dall’orecchio assoluto”.
Il Maestro ci ha dato il suo punto di vista nella fase più acuta dell’emergenza, la I fase, anche se difficile distinguere oggi fasi più o meno critiche di questa emergenza sociale.
Maestro, a che punto siamo?
La musica e l’arte in questo momento sono detronizzate, sono depotenziate, in altre parole sono rovinate.
La situazione ci ha colpito in maniera importante e direi definitiva. Il settore musicale è stato uno fra i più segnai dall’emergenza Covid-19 sia per la parte di performance che di didattica. Impossibile immaginare una ripresa così.
Come sopravvive oggi la musica?
La musica oggi sopravvive grazie a i canali social. Non è possibile eseguire nulla dal vivo e così chi può si organizza. Io in qualche modo io sono un privilegiato perché ho a disposizione uno studio di registrazione in casa e posso continuare a svolgere attività precedentemente programmate.
Ma in ogni caso oggi la musica si organizzando e si deve organizzare secondo un livello di riproduzione a distanza e non di percezione diretta. Questo significa perdere l’immediatezza e tutto ciò che il live regala al pubblico.
Per quanto riguarda la didattica poi la situazione è molto complessa perché come si può immaginare di vedere uno strumento e vivere uno strumento a distanza. Comporta delle difficoltà oggettive.
Impossibile far capire agli allievi la postura, la posizione e la tecnica precisa rispetto a un gesto, la fisicità dello strumento. Io sono fermamente contrario alla didattica Web. E’ un assurdo logico pensare di insegnare la tecnica musicale attraverso il digitale.
Secondo lei la creatività oggi è a rischio?
Direi che il periodo di emergenza e quindi anche le misure restrittive rispetto alle norme sociali non hanno inficiato la creatività, e parlo da compositore. Anche perché nei periodi di maggior difficoltà, così come nei periodi post bellici, si è sempre composto. Si è sempre prodotto tanto dal punto di vista creativo e artistico. Penso che questo periodo non sia negativo per la creatività in senso stretto, anzi possa essere un incentivo, un spunto. Paradossalmente è a rischio la sopravvivenza di noi artisti.
Cosa ha fatto lo Stato per voi?
600 euro. Questo ha fatto. Ed erogati con forti ritardi. Nulla di più. Ha fatto però anche un’altra cosa: ha passato il messaggio che la la musica e l’arte in generale non siano necessarie e quindi siano settori che non rientrano tra le priorità. Peccato che siano state proprio le arti a supportarci nei momenti più difficili e in questa pandemia.
Siamo certi che fino a settembre – e forse ancora oltre – vieteranno di eseguire performance musicali e quindi di portare avanti i progetti con grave danno di tutta l’industria culturale e ovviamente anche più specificamente musicale.
Io – lo ribadisco- sono tra i pochi credo privilegiati compositori e musicisti che riescono svolgere una parte di attività presso la loro sede perché ho tutta una serie di supporti che me lo consentono. Ma ovviamente penso ai miei colleghi, alla situazione drammatica di artisti e operatori dello spettacolo.
Maestro, in questo momento di disorientamento, quanto sono importanti le parole, il testo?
Parole che possano orientare e alleviare. O anche solo far sognare.
Esistono oggi ancora gli autori?
Oggi non esistono quasi più autori di testi perché si tende a essere sempre più musicisti interpreti. La scrittura di professione, quella di qualità , sta pian piano scomparendo perché manca lo studio, manca la ricerca e la tecnica.
Oggi si pensa che accostare due tre rime possa costituire l’attività di un autore. Ma c’è una tradizione autoriale lunghissima che caratterizza il nostro Paese che andrebbe per lo meno conosciuta e frequentata dal punto di vista dell’ ascolto. Penso che per fare l’autore oggi bisognerebbe leggere, documentarsi e soprattutto studiare. Quello che oggi ci propone il panorama dell’autorialità musicale è quello che io chiamo “trash”, diciamo un indistinto dal punto di vista della lavorazione del testo che nulla a che vedere con la grande tradizione. Che non raggiunge quel livello di permanenza di un testo strutturato, di un testo che ha un’ossatura musicale e che ha una solidità dal punto di vista musicale. Quell’impalcatura sonora e ritmica di canzone del passato che attraversa le generazioni e continua ad essere attuale e moderna e quindi reinterpretata, non esiste quasi più.
Cosa possiamo dire a chi oggi vuole diventare un paroliere?
Sicuramente al centro dell’attività di chi oggi volesse dedicarsi a scrivere canzoni c’è appunto la conoscenza di quella che è stata la nostra memoria storica, la canzone napoletana, le principali opere degli ultimi 50 anni. E non cercare la formula di successo. Quella che piace alle case discografiche e che viene promossa ovviamente dal punto di vista del mercato musicale dalla radio ma che poi però sostanzialmente si dimentica dopo poco tempo.
Io – per esempio- ricordo pocissime canzoni del Festival appena trascorso.
Cosa ci aspettiamo per il futuro?
Non lo so. Credo speranze e sogni. Abbiamo bisogno di chi ci ascolta. Abbiamo bisogno di chi ha bisogno di noi per far capire che la musica è essenziale. E’ vita. Così come le altre forme d’arte.
Solo il pubblico- che lo sa- può aiutarci in questa battaglia per la consapevolezza sociale e per il riconoscimento dovuto.